Oleg Nazarov: La predispozione alla “Guerra Fredda” e alla Russofobia rimarrà in eterno

© Sputnik. Club Zinoviev

Sputnik, 25.06.2015

La V Conferenza Internazionale “Letture di Zinoviev” si è svolta con successo a MIA Rossiya Segodnya ed è coincisa con il 175° anniversario del rientro dall’impero russo del marchese Astolfo de Coustin.

A prima vista questi due eventi non hanno nulla in comune, ma questo soltanto a prima vista, rileva Oleg Nazarov, dottore in scienze storiche, membro del club Zinoviev di MIA “Rossiya Segodnya”.

Una delle discussioni plenarie delle conferenze era dedicata al tema “L’uccisione di un’utopia: il comunismo ed una democrazia diretta da tutti”. La discussione, moderata da Aleksey Pil’ko, ha visto un’interessante ed approfondita relazione da parte di Vladimir Lepyokhin. Intervenendo nel corso della discussione, Dmitry Mikheev ha posto l’attenzione su quanto fortemente si differenzi l’essenza profonda dell’ideologia anglosassone dall’invitante copertina nella quale viene presentata al mondo. Su di essa trionfano valori attraenti: democrazia, sovranità della legge, ricerca della felicità e così via. L’essenza interiore e per niente pubblicizzata di questa ideologia è quasi del tutto darwinistica. Dopo aver prenotato il proprio posto in cima alla gerarchia sociale, gli anglosassoni regolano tutta l’umanità basandosi sui propri interessi, fantasie e preferenze. Le conseguenze di questa regolamentazioni sono altrettante gerarchie, sociali, religiose, razziali. I Russi e gli ortodossi in queste “competizioni” non figurano tra i “premiati”.

Il carattere e la cultura russi agli occhi di un russofobo

Pavel Rodkin, esperto di branding e comunicazione visiva, dottore di ricerca in storia dell’arte, membro del club Zinoviev MIA “Rossiya Segodnya”
© SPUTNIK. VLADIMIR TREFILOV La vera propaganda

Le opinioni razziste e russofobe in Occidente sono diffuse da tempo e non vengono condivise soltanto dagli ideologi del mondo anglosassone. Uno dei più famosi ideologi della Russofobia, da già 175 anni, è il marchese De Coustin, il quale nell’estate e nell’autunno del 1839 soggiornò nell’Impero Russo. Dopo aver solcato le nostre terre per meno di quattro mesi il viaggiatore francese scrisse il libro “La Russia nel 1839”, dopo la cui pubblicazione nel 1843, si guadagnò la fama di maggiore specialista sulla Russia in Occidente e nell’ambiente degli intellettuali russi verso l’Occidente orientati.

Nella denigrazione della Russia e dei russi Coustine ebbe degli illustri predecessori: il marchese aveva letto i “Quaderni sugli affari moscoviti” del barone Sigismund von Herberstein, pubblicati addirittura nel 1549. Eppure, proprio la “Russia nel 1839” divenne il libro che per due secoli individuò nella Russofobia la direzione strategica della propaganda occidentale.

E’ simbolico il fatto che gli “amici” ed i “partner” occidentali della Russia si siano puntualmente ricordati di questo libro nei momenti più cruciali della storia. Lo ripubblicarono prima della guerra di Crimea, mentre all’indomani della seconda Guerra Mondiale, agli albori della “Guerra Fredda” esso comparve in diversi paesi europei e negli USA. Notevoli furono anche le tirature delle “confessioni” di Coustin durante gli anni della Perestrojka di Gorbachev.

Il motivo di cotanta popolarità dei racconti di viaggio di Coustin fu rivelato un “amico” di lunga data della Russia e dei russi, Zbigniew Brzezinski, dichiarando che:

“Nessun sovietologo non ha ancora aggiunto nulla alle cure di De Coustin riguardo al carattere russo ed alla natura bizantina del sistema politico russo”.

L’aristocratico francese, con la cui opinione ha volentieri solidarizzato il politologo americano di origini polacche, sosteneva che

“la forma di governo russa unisce al suo interno tutti i difetti della democrazia e del despotismo, non possedendo nessuno dei pregi di uno o dell’altro regime”.

Egli osservò come nel carattere dei russi vi siano “più finezza che delicatezza, più buonismo che bontà, più indulgenza che tenerezza, più astuzia che inventiva, più sarcasmo che immaginazione, più spirito d’osservazione, che intelligenza, ma più di tutto in loro (nei russi) c’è parsimonia. Non lavorano per raggiungere dei risultati utili, ma esclusivamente per una ricompensa. Il fuoco del talento è a loro sconosciuto, non conoscono l’entusiasmo creatore di tutto ciò che è magnifico… le più alte vette del genio per loro sono irraggiungibili”.

Pertanto egli non considerava dei geni Aleksandr Pushkin, che all’epoca della visita di Coustin aveva già composto i suoi capolavori ed era già passato a miglior vita sotto il proiettile di George Dantes oppure due autori che avevano già fatto parlare di sè, come Mikhail Lermontov e Nikolaj Gogol (le cui “Serate in una fattoria vicino Dikanka” erano largamente conosciute ed il “Revisore” pubblicato).

“La Russofobia, la paura nei confronti della Russia che diede il là al libro del francese viene definita non soltanto a partire da determinate caratteristiche negative del paese da esse descritto, ma anche, in misura minore o addirittura in misura maggiore, dalle sue caratteristiche migliori”,

constata il pubblicista e critico letterario Vadim Kozhinov.

Dmitry Kulikov
© SPUTNIK. VLADIMIR TREFILOV “Il sacro diritto di proprietà” e il potere: qual è la nostra scelta di civiltà

Della paura che incutono coloro i quali, a quanto pare, non possono accedere alle “più alte vette del genio”, ha parlato anche Aleksandr Zinoviev: “In Occidente i russi etnici hanno sempre suscitato spavento, non concorrenza militare, nemmeno economica.  Il terrore numero uno è che i russi abbiano portato e portino ancora dentro di se principi anti-occidentali ed, oltre ad essi, un enorme potenziale artistico. A far più paura di tutto era la prospettiva della penetrazione della cultura russa…”Lo vedo su mè stesso. Se non fossi stato russo, mi si sarebbero aperte le porte di tutte le università. Tutte le case editrici mi avrebbero invitato per una prova. All’inizio sono passato, poi sono diventato famoso per sbaglio. Per prima cosa mi hanno scambiato per un non-russo, poi per un dissidente. Ma è venuto fuori che io ero un russo e non dissidente. E fu subito paura! Per fortuna che prima di quel momento ero riuscito a maturare un certo peso nel mondo della scienza occidentale e della letteratura. Ma da quel momento in poi non fanno altro che premere su di me. E’ bene che lo sappiano tutti coloro che vogliono andarsene nell’Occidente. Qui non c’è nessuna chance di restare a galla se scegli di restare russo e indipendente.

“Quando i barbari salvarono l’èlite dell’Umanità”

Definendo i russi “barbari”, Coustin aggiunse con indulgenza:

“Io non giudico i russi per come sono, ma trovo riprorevole la loro tensione nel voler sembrare come noi. Sono ancora completamente incolti e questo non li priverebbe delle speranze di diventarlo, se solo essi non fossero assorbiti dal desiderio scimmiesco di imitare le altre nazioni, deridendo allo stesso tempo, proprio come scimmie, coloro che essi imitano. Senza volerlo mi viene da pensare che queste persone siano perse per un’esistenza primitiva e siano inutili per la civiltà”.

Riconosciamo il fatto che a partire dal primo falso Dmitry, nella sfera degli intellettuali e dei politologi russi c’erano personaggi che pregavano per l’Occcidente e ne parlavano con aspirazione. Vi furono tempi in cui proprio loro presero le redini del paese ed a cosa portò tutto questo lo sappiamo grazie al triste epilogo dell’ultimo decennio del secolo scorso.

Nel 1994 in un’intervista a Vladimir Bolshakov, Zinoviev si lamentò del fatto che “i nostri stessi connazionali consentono una tale derisione di sè stessi e non reagiscono in maniera dignitosa, si umiliano e abbassano la testa di fronte all’Occidente. Un paese e il suo popolo vengono giudicati in base a coloro che lo rappresentano ed il nostro paese e il nostro popolo viene rappresentato da cotanti mostri, che attendersi un diverso giudizio nei confronti del comunismo e prima di tutto della Russia e dei russi da parte dell’Occidente sarebbe assurdo.”

Tuttavia, se Zinoviev parlò di mostri isolati, Coustin assicurava ai suoi lettori che praticamente tutti i russi sono “inidonei alla civilizzazione”.

E’ significativo il fatto che simili idee a distanza di 75 anni le abbia portate avanti anche un connazionale del turista Coustin, l’ambasciatore di Francia nella Russia imperiale Maurice Paléologue. Quest’ultimo visse in Russia alcuni anni, entrò in contatto con rappresentanti dell’elite russa e conosceva della Russia ben di più di quanto non sapesse Coustin. Proprio lui chiese a Nicola II di aiutare la Francia nelle tragiche, prime settimane dell’inizio della Prima Guerra Mondiale. Dopo che la Russia e Francia avevano ricordato il centenario dell’inizio della guerra, val la pena di ricordare che l’aiuto della Russia arrivò giusto in tempo: “Se la Francia non sparì dalla faccia della Terra nel 1914, lo deve prima di tutto alla Russia”, testimoniò il maresciallo francese Ferdinand Foch.

Paleologue non trovò parole di gratitudine per i nostri bisnonni e protobisnonni. Anzi, poco dopo che questi salvarono la Francia dalla capitolazione, l’ambasciatore dichiarò “In quanto a sviluppo culturale, francesi e russi sono sullo stesso livello. La Russia è uno dei paesi più arretrati del mondo. Confrontate il nostro esercito con questa massa ignorante e inconsapevole: tutti i nostri soldati possiedono un’istruzione; nelle prime file combattono forze giovani che hanno fatto parlare di sè nell’arte e nella scienza, persone talentuose e raffinate; questa è l’èlite dell’Umanità.

Ancora sul “barbarismo” russo ed il “codice nero” francese

“Più di tutto mi offende il fatto che in Russia la più raffinata eleganza stia vicino alla barbarie più disgustosa. Se nella vita dell’alta società ci fossero state meno lusso e beatitudine, forse la gente comune mi avrebbe fatto meno pena. Qui i ricchi non sono concittadini dei poveri”, scrisse Coustin.

Alcune verità nelle sue parole, c’erano. Tuttavia, questo è proprio il caso in cui, vedendo la pagliuzza nell’occhio altrui, l’intellettuale francese “si dimentica” la trave nel proprio. Dopo tutto, i suoi strali contro la Russia arrivarono in un momento in cui i suoi connazionali erano impegnati nel commercio degli schiavi. In Francia vigeva il “Codice Nero, per la gestione delle isole francesi in America”,  secondo cui “gli schiavi sono bene mobile.” Se il servo alzava le mani contro il suo padrone o un’altra persona libera, o commetteva un furto di “cavalli, muli, buoi o mucche”, veniva immediatemente sottoposto all’esecuzione.

Il Codice vietava qualsiasi runione di schiavi “appartenenti a padroni diversi… con il pretesto di un matrimonio o con altro pretesto, anche presso un padrone o altrove, o ancora di più per le strade principali o in località remote, a pena di punizioni corporali, che non potevano essere inferiore al bastone o alla marcatura;  in caso di recidiva o dell’insorgere di ulteriori aggravanti, il colpevole poteva essere sottoposto alla pena di morte. “Se lo schiavo tentava di fuggire gli venivano tagliate o marcate le orecchie. In caso di ripetuto tentativo di fuga la legge della civile Francia prescriveva di punire lo schiavo recidendogli i tendini, e, dopo il terzo tentativo, con la pena di morte.

Ksenia Myalo, nell’articolo “Andare ai barbari, oppure il viaggio eterno del marchese de Coustin” ha ricordato che “alla Francia apparteneva esclusivamente l’onore della paternità del documento, denominato “Codice Nero”, che già fisso due secoli di pratica europea. Il “Codice Nero” è un editto di 60 articoli pubblicati da Ludovico IV nel marzo del 1685 e venne abolito definitivamente solo nel 1848 (nel 1794, la sua licenza venne sospesa, e nel 1802 rientrò in vigore). In altre parole, si trattava di un’eliminazione di un’intera razza —quella nera- sancita dalla legge al di là del concetto di diritto, proprio quando iniziò a prendere forma la filosofia dei diritti umani e delle libertà.

Lo scrittore e filosofo russo Alexandr Zinoviev.
© SPUTNIK. DMITRI KOROBEYNIKOV Lo scrittore e filosofo russo Alexandr Zinoviev.

In altre parole, lungo tutto il periodo in cui, secondo le rappresentazioni di Custine e Brzezinski, la Russia ristagnava nella barbarie,  alla coscienza Europea (e in senso più ampio — occidentale) apparve immanente l’idea di un’umanità non unica e non uguale. Inoltre, la disuguaglianza giuridica dove soltanto comporre la diseguaglianza antropologica ed anche metafisica.

“È interessante notare che il “bouquet” di disuguaglianze insieme e volutamente “non è stato notato” dagli educatori europei, che hanno scritto tonnellate di carta in difesa di tutti i possibili diritti e libertà. Allo stesso modo, nei primi anni del XXI secolo, molti intellettuali occidentali non trovarono le prove del genocidio della popolazione russofona in Donbass ed a Lughansk. Ancora cercano di scoprire se non si siano bruciati da soli i cittadini di Odessa il 2 maggio nella Casa dei sindacati, e se non si siano autoviolentate e sepolte in terra decine di ragazze e donne del Donbass. La “cecità da gallina” degli intellettuali occidentali si spiega non solo con la pressione di Washington, ma anche con la lunga tradizione della russofobia europea. Le testimonianze di Coustin, sullo sfondo dei fatti storici, confermano la conclusione dei partecipanti alle “letture Zinoviev” sull’ideologia occidentale, come un’ideologia a doppio fondo: la carte di questo confetto è una, mentre il suo ripieno è tutt’altro. E non serve aspettarsi dei cambiamenti.La Russofobia quindi rimane e risuonano piuttosto attuali oggi le parole del grande pensatore russo Aleksandr Zinoviev: “Con la Russia i contri dell’Occidente sono particolari: ella si presentava come una minaccia alla sua (dell’Occidente) egemonia mondiale.

La predisposizione alla “Guerra Fredda” resterà in eterno. Ed il problema non è nel comunismo. Ad Occidente di  questo comunismo ce n’è fin troppo. Il punto chiave verte sull’impostazione di eliminare la russità e viene incessantemente trasformato in realtà. Punto primo: non ammettere i russi nella cultura mondiale. Secondo: eliminare il materiale umano russo. Il popolo non si annienta mica a caso. E’ stato studiato un intero programma di depravazione morale. Con noi si comportano così come gli americani si sono comportati con gli indiani d’America.