La cosa peggiore che può accadere è quando la gente perde in massa il legame con l’insieme e si trasforma in politici egoisti, ritiene il membro del Club Zinoviev Iskander Valitov.
Parte 2
Nel mio articolo precedente ho avviato la discussione sulla degenerazione della civiltà europea occidentale. Il concetto di degenerazione ho incominciato a introdurlo sul materiale della natura.
La mia intenzione era quella di mostrare che il darwinismo è prima di tutto una dottrina ideologica che descrive abbastanza contortamente i veri meccanismi dell’evoluzione biologica. È stato affermato che i rapporti di concorrenza sono casi perversi e che la biosfera dovrebbe essere considerata come un sistema unico, come un unico organismo, piuttosto che come un insieme di specie e individui in lotta. Il comportamento di qualsiasi individuo funziona principalmente sulla riproduzione della popolazione, della biosfera. Qualsiasi scostamento dal compito di riproduzione di un insieme vitale è l’essenza della degenerazione. L’egoismo non fa parte dell’eredità biologica dell’uomo. In questa rubrica, io difenderò la tesi che il mondo sociale è radicalmente diverso nel suo meccanismo dal mondo della natura. La sua vitalità si basa su meccanismi diversi. Occorre conoscerli per essere in grado di vedere il processo di degenerazione dei sistemi sociali.
L’uomo non è la corona dell’evoluzione
Al fine di capire la specificità di raggruppamenti umani e la loro differenza radicale dal branco animale occorre capire bene che l’uomo non è un prodotto del processo evolutivo. Non importa come ci immaginiamo questo processo evolutivo: secondo Darwin, con la sua variazione casuale e la selezione di acquisizioni di adattamento o secondo la futura teoria “ontogenetica” che dovrà descrivere il processo evolutivo come la distribuzione di un unico insieme di sistema. O qualsiasi altra costruzione teorica.
Mi attengo al punto di vista che l’uomo sia apparso durante un processo completamente diverso, non evolutivo. L’evoluzione ha soltanto preparato un materiale-portatore per lui. E su di lui — “uomo primario” — essa si è conclusa. Possiamo considerare che egli era il suo prodotto finalizzato. Proprio per questo nessuna teoria dell’evoluzione, anche se ha superato tutte le assurdità del darwinismo, è in grado di descrivere l’apparizione dell’uomo.
Dal branco alla comunità
L’uomo, naturalmente, non è derivato dalle scimmie. E’ ben noto che gli esseri umani come specie (io li chiamerò uomini primari) sono apparsi molto prima del momento in cui nei loro gruppi iniziò l’uso degli strumenti, della parola, dello sviluppo di forme efficaci, precedentemente non incontrate nel comportamento collettivo. L’evoluzione ha prodotto la base biologica dell’uomo (ma non l’uomo stesso!) siano essi 400 mila o 2 milioni di anni prima (i dati degli scienziati sono diversi) dalla creazione dell'”homo sapiens” così come lo conosciamo oggi. E per tutto questo periodo questa specie biologica conduceva una vita da animale. Il processo nel corso del quale è apparso l’uomo è la trasformazione del branco in comunità. Il materiale biologico quindi rimane inalterato. Il mistero dell’origine dell’uomo è nascosto in questa transizione. A quanto pare, in questa transizione si accende il “fuoco della ragione”, come lo definiscono i filosofi. Io sulla scia di Piaget parlerei in modo più concreto: le persone della comunità prendono consapevolezza del proprio comportamento.
Questo non è il momento adatto per descrivere i possibili modelli di come ciò sia potuto accadere.
Notiamo soltanto che molto probabilmente l’essenza di questa transizione è nello sviluppo dei meccanismi di riflessione sulla base delle potenzialità biologiche già esistenti. La riflessione sugli esseri viventi non è uno specchio che riflette tutto ciò che vede. La riflessione è un elemento di sistema del comportamento. L’animale rispecchia dal mondo esterno solo quello che serve per il suo comportamento, per il suo funzionamento. La riflessione è selettiva e finalizzata.
Probabilmente, la transizione da “uomo primario” all’uomo è legato al fatto che “l’uomo primario” inizia a spostare l’attenzione dagli elementi importanti del mondo esterno sui momenti del comportamento proprio e quello collettivo. Ad esempio, al suono che produce, o ai gesti che fa in una determinata situazione e ad alcune azioni di risposta dei propri compagni di tribù, causate dagli stessi segnali. Anche ai suoi compagni di tribù gli stessi suoni o gesti cominciano a costituirsi come un indicatore di una determinata situazione che richiede un’azione collettiva.
Nel momento in cui l’uomo primario stabilisce una connessione tra i suoni/gesti i quali prima di quel momento erano spontanei e rappresentavano soltanto alcune sue reazioni comportamentali alla situazione e un efficace comportamento collettivo, diventa possibile il passaggio all’azione deliberata segnalante. Diversi suoni e gesti diventano un elemento necessario di organizzazione di un’azione collettiva complessa. Gli uomini primari formano un orientamento speciale nella differenziazione di tali segnali. Gli uomini primari iniziano a usare intenzionalmente diversi segnali per indicare varie situazioni o diversi segnali per avviare diverse azioni collettive. Tali segnali non sono più una reazione riflessa, perdono il condizionamento causale da vari stimoli dal mondo esterno. Acquisiscono un’altra entità semantica. Attraverso i segni, le persone comunicano la loro situazione, invitano alle azioni collettive, si concentrano sui dettagli significanti della situazione attuale.
Dunque, grazie al rispecchiamento, indirizzato al comportamento stesso (cioè alla riflessione), il segnale viene trasformano in un segno, un insieme di segnali in una lingua, l’uomo primario nell’uomo, un branco nella comunità. A quanto pare la consapevolezza del comportamento è indivisibilmente legata alla nascita della lingua. Penso che entrambe le affermazioni sono vere: sia il fatto che la consapevolezza del comportamento avviene attraverso la lingua che la lingua nasce durante la consapevolezza del comportamento.
La cosa principale è che il comportamento che ora realizza la comunità non è più l’attuazione del programma genetico della specie. Il genoma smette di essere l’unica fonte di comportamento. La comunità stessa inizia a creare un nuovo comportamento. Inoltre, grazie alla sua ricchezza linguistica essa ottiene significativamente più opportunità per la sua trasmissione alla generazione successiva. Il rituale primitivo è già un’azione molto ricca di simboli che cristallizza l’esperienza collettiva. Il comportamento che viene realizzato dalla comunità umana, ma non dal processo evolutivo e viene riprodotto non geneticamente, ma attraverso i meccanismi della cultura, ha già una “natura” diversa cioè diventa attività. L’uomo diventa l’uomo solo in virtù del coinvolgimento nella vita dell’unione umana e non di per sé, non a causa della sua natura biologica.
L‘uomo senza essenza
L’importanza della consapevolezza del comportamento è sottovalutata. La consapevolezza di qualsiasi programma comportamentale porta al fatto che essa perda la sua automaticità. Lo stesso vale anche per sensazioni e percezioni. La verbalizzazione delle sensazioni le cambia. La “pura” percezione e la percezione nel campo della lingua sono due grandi differenze. Le sensazioni e percezioni organizzate in modo riflessivo (significante) diventano automatizzate secondariamente, ma sostanzialmente sono diverse. L’uomo non è più un essere naturale nel senso profondo. E’ diventato un essere tecno-naturale, in cui “la natura” occupa una posizione subordinata, è plastica e trasformabile. Nessun istinto, nessun meccanismo fisiologico è più “legge” per egli. Il controllo di qualsiasi processo biologico può essere intercettato dalla sua coscienza. L’uomo può cambiare la sua natura spontaneamente. L’essenza di qualsiasi animale è nel suo specifico sistema comportamentale. Il corpo dell’animale è solo una realizzazione materiale di questo sistema. L’uomo, però, non ha più una tale entità. La deve trovare nel processo della sua vita, deve trovare il proprio posto, determinare il contenuto e la forma della sua partecipazione alla vita pubblica. Marx scrisse riguardo al problema dell’alienazione umana. Solo che lui non capiva la sua natura originaria esistenziale.
La Medicina, tra l’altro, ha tralasciato questo aspetto. Essa cura l’uomo nel migliore dei casi come un animale e nei casi in cui cerca di ripristinare l’ “autoregolamentazione”. Ma più spesso lo tratta come una macchina rotta: quando cerca di ripararlo chirurgicamente o protesizzarlo chimicamente con i farmaci. “La medicina umana” normalmente dovrebbe occuparsi dell’organizzazione della consapevolezza dei vari processi in cui è incluso l’uomo, tra cui processi fisici, ma non solo, e attraverso essi recuperare la salute.
Sono soprattutto inaccettabili i tentativi di biologizzazione dell’uomo nei contesti socio-politici. Tutti coloro che parlano della necessità di migliorare la natura umana, mentono, perché l’uomo non ha natura. Questa tesi può essere usufruita solo per un motivo — per giustificare l’organizzazione dei campi di concentramento, il chippare e robotizzare l’uomo.
La situazione dell‘uomo
L’uomo primario apparteneva ancora alla natura e la sua esistenza è stata garantita dai meccanismi della biosfera, dal fatto che egli aveva come tutti gli altri esseri viventi, un comportamento ben definito. D’ora in poi, il suo comportamento e le sue attività non sono concordati e armoniosi in modo naturale con i processi di riproduzione delle unità dell’ordine superiore.
La comparsa dell’uomo dall’uomo primario significa che la sua esistenza diventa un problema. Il suo problema. L’attività non appartiene alla natura. Le attività umane possono discostarsi significativamente dal compito della riproduzione. Inoltre, oggi la natura è praticamente un elemento incluso nelle attività umane e la sua riproduzione si trova anche nella zona della responsabilità dell’umanità. Quindi, possiamo dire che una persona ormai non appartiene alla natura, ma alla unità di una scala completamente diversa. Usando il termine di Vernadskiy la possiamo chiamare la noosfera. Criticamente importante ora è stabilire quanto le persone conoscono questo insieme sociale e l’attività con tutto ciò che vi è incluso: la natura, la tecnologia, l’uomo stesso, quanto è capace a gestire tutto questo, regolare i processi del funzionamento normale, della riproduzione, dello sviluppo. Al posto degli istinti arriva la comprensione: cosa bisogna fare per mantenere la vitalità della noosfera?
Ora le persone stesse possono e devono determinare il modo della propria esistenza: quali sono le regole della convivenza, quali sono le motivazioni, quale è le modalità di azione che saranno praticate. La linea dell’evoluzione sociale è infatti la pratica degli uni o altri modi della vita collettiva e individuale.
Ogni società è una variante della soluzione al problema dell’esistenza. Tale soluzione ha sempre diversi livelli: ci sono le motivazioni vitali delle persone, le regole della quotidianità e i costumi, l’organizzazione dell’economia, le istituzioni, le leggi, le sovrastrutture amministrative. Ma tutto questo ha un elemento base ed è la comprensione della propria situazione. Qualsiasi regime di vita anche quello più tradizionale e qualsiasi motivo vitale hanno sempre una fonte: qualcuno ha capito in un certo modo la situazione ed è stato in grado di introdurre nelle menti degli altri i nuovi orientamenti.
Nelle religioni abramitiche ciò è stato riflesso: l’uomo ora è il co-creatore, il vicario di Dio sulla Terra. La sua sopravvivenza dipende interamente da quanto riuscirà a mantenere questa posizione di conoscenza e responsabilità.
Sulla degenerazione
Alexander Zinoviev nei suoi libri descrive in dettaglio la “legge del calcolo egoistico”. Lo scrive in questo modo: “Secondo tale legge, ogni membro normale e attivo della società acquisisce tali agi della vita fintanto che glielo permette la sua posizione sociale, nei limiti ammessi dalla società o almeno con un alto grado di impunità”. Zinoviev ha certamente ragione nel dire che il calcolo egoistico determina molto nel comportamento e nelle attività delle persone in quei reali sistemi sociali che ha studiato. Solo egli ha erroneamente ritenuto che l’insuperabilità naturale di un tale complesso motivazionale e ha sopravvalutato la sua forza. Anche se egli stesso diceva di sognare di un uomo nuovo: non calcolatore, ma cordiale, vivo. Ha scritto sull’importanza del fattore della comprensione.
La vitalità del sistema, la sua immunità contro la degenerazione dipende direttamente per quanto in ogni singola persona è rappresentata la conoscenza dell’insieme e per quanto vi è una impostazione per salvare l’insieme. Se è evidente a ogni singola persone il suo legame con l’insieme sia nel passato che nel presente e nel futuro. L’egoismo non è una legge naturale. L’egoismo cresce dalla stessa radice della coscienza cioè dalla riflessività. Solo che qui la riflessione non è destinata a definire sé stessa nella riproduzione dell’insieme, ma al suo uso egoistico.
Si possono considerare degenerati tutti coloro che si rifiutano di comprendere l’insieme e determinare la propria partecipazione nella riproduzione. Coloro che, di fatto, rifiutano il modo umano di essere, di cercare il proprio posto (la sua essenza unica). Nei libri sacri è scritto chiaramente: ciascuno sarà responsabile personalmente per tutto quello che ha fatto e che non ha fatto.
Si può parlare anche del fenomeno della degenerazione sistemica. Prima di tutto, si verifica quando il controllo del sistema sociale comincia a non essere nell’interesse della sua riproduzione, ma nell’interesse di un organo individuale, classe sociale o di un gruppo specifico di persone. Ciò che porta ad una diminuzione della vitalità complessiva del sistema. E la cosa peggiore accade quando le persone in massa perdono il legame con l’insieme e si trasformano in egoisti completi. Soprattutto quando tutti vogliono la libertà e credono che il mondo esiste per la loro autorealizzazione e realizzazione dei loro sogni. Ma di questo parleremo la prossima volta.